Assunzione del coniuge come dipendente: le complicazioni previdenziali e fiscali

L’assunzione del coniuge come lavoratore dipendente è del tutto legale nel nostro Paese, ma nella realizzazione del proposito possono sorgere complicazioni.

Può succedere, infatti, che l’Inps non riconosca la presenza della subordinazione e a seguito di visita ispettiva eccepisca la nullità del rapporto di lavoro intrattenuto ed, eventualmente, lo riconduca ad altra casistica (coadiuvanza, impresa coniugale, ecc.). Questo può succedere perché nel rapporto di lavoro tra coniugi non vale il principio di presunzione di onerosità del rapporto, bensì quello di gratuità, che bisogna vincere dimostrando fattualmente che nella conduzione del rapporto di lavoro con il proprio coniuge erano presenti tutti i requisiti della subordinazione.

In tal senso la Corte di Cassazione ha, ancora recentemente, affermato che, ricorrendone i requisiti, è possibile per i coniugi mettere in atto un vero e proprio rapporto di dipendenza. Bisogna, però, fornirne la prova che non sempre è facile argomentare. Per esempio, con la sentenza 27.02.2018, n. 4535, la Cassazione ha consolidato l’orientamento che riconosce la natura subordinata del rapporto di lavoro in presenza di indici sistematici quali la presenza costante, l’osservanza di un orario coincidente con l’apertura al pubblico, la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.
Ancora la Cassazione, nella citata sentenza, afferma seccamente il principio che l’assunzione del coniuge è possibile, ma solo in presenza del requisito dell’effettiva subordinazione risultante dalla verifica di legittimità, dalla verifica cioè dei requisiti propri della subordinazione tali da vincere la presunzione che il lavoro prestato dal coniuge sia gratuito e reso nell’ambito dell’affezione familiare. Secondo la Cassazione si deve parlare di rapporto di lavoro subordinato in presenza dei seguenti fattori:

  1. retribuzione dell’opera prestata dal coniuge;
  2. orario di lavoro prestabilito e rispettato;
  3. vincolo di subordinazione comunque ravvisabile nell’organizzazione aziendale.

Pertanto, pur non essendovi alcun divieto espresso in ordine all’assunzione del coniuge, è bene tenere presente quanto più volte affermato dalla giurisprudenza (tra tutte, Cass. n. 2660/1984) secondo cui la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese tra persone legate da vincoli di parentela, per il superamento della quale è necessaria la prova precisa e rigorosa dell’onerosità delle prestazioni stesse, sussiste anche nel caso di attività lavorativa eseguita nell’ambito di un’impresa, qualora questa sia gestita e organizzata, strutturalmente ed economicamente, con criteri prevalentemente familiari, e non quando l’impresa abbia notevoli dimensioni e per quanto condotta da familiari sia amministrata con criteri rigidamente imprenditoriali.

Quanto sopra è affermato anche dall’Inps con una circolare che ha fatto storia, la n. 179/1989 mai smentita: “Nei casi in cui i soggetti del rapporto denunciato da Imprese individuali o Studi professionali siano coniugi, parenti entro il 3° grado ed affini entro il 2° grado conviventi del datore di lavoro, il rapporto si presume gratuito e quindi escluso dall’obbligo assicurativo, senza necessità di accertamenti da parte dell’Istituto, se le parti non forniscono prove “rigorose”, cioè non soltanto formali, ma convincenti nel loro complesso, dell’onerosità del rapporto stesso e della sua natura subordinata. Qualora non sussista convivenza né comunione di interessi, il rapporto si presume oneroso e quindi, soggetto all’obbligo assicurativo, alla stregua dei rapporti fra estranei, salva la facoltà dell’Istituto di procedere ad accertamenti”.

Un’ulteriore considerazione sull’inesistenza del divieto di assumere il coniuge dell’imprenditore si può trarre anche dalla disciplina del lavoro nell’impresa familiare. L’art. 230-bis c.c. manifesta la residualità e marginalità del lavoro a titolo di collaborazione familiare affermando che esso è presente “salvo che sia configurabile un diverso rapporto”.
Quando fondata su reali requisiti è quindi la volontà contrattuale delle parti ad avere peso (almeno fino alla pronuncia di un Giudice) fermo restando che si dovrà dare prova di tali requisiti al fine di vincere le presunzioni di cui si è detto avanti.

Nel decidere quale tipologia di rapporto lavorativo instaurare è bene che le parti considerino anche il regime fiscale dei compensi erogati al coniuge. L’art. 60 del Tuir dispone che “Non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti”. Altrettanto vale per il professionista a norma dell’art. 54 del Tuir, il cui c. 6-bis aggiunge, coerentemente, che i compensi corrisposti a tali soggetti non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti.

Nessun divieto assoluto, quindi, ad intrattenere con il proprio coniuge un rapporto di lavoro subordinato, divieto che contrasterebbe peraltro con i principi costituzionali della parità di diritti, ma grande attenzione alla sussistenza dei requisiti e alla possibilità di fornirne prova, la cui mancanza offrirebbe all’Inps gli elementi per una facile azione giudiziaria.

da Sistema Ratio

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