Le lettere d’intento ed esportatori abituali: arrivare pronti al 2025

I soggetti passivi che nel corso del 2024 hanno posto in essere operazioni con l’estero senza applicazione dell’Iva stanno in questi giorni valutando se acquisire o meno la qualifica di esportatore abituale per il 2025, in modo da acquistare beni e servizi ed effettuare importazioni ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/1972.

La qualifica di esportatore abituale: vantaggi e svantaggi
Si ricorda che la qualifica di “esportatore abituale” si ottiene nel momento in cui, nell’anno solare precedente o nei 12 mesi precedenti, si ha un importo derivante da cessioni all’esportazione e operazioni assimilate, servizi internazionali e cessioni intracomunitarie, superiore al 10% del volume d’affari “rettificato” (art. 1 comma 1 lett. a) del DL 746/83). Il termine “rettificato” indica che dal volume d’affari vengono scomputate le cessioni di beni in transito o nei depositi soggetti a vigilanza doganale e le cessioni e prestazioni non rilevanti territorialmente ai fini IVA in Italia per le quali occorre comunque l’emissione della fattura (art. 21 comma 6-bis del DPR 633/1972).

Gli esportatori abituali hanno la possibilità di acquistare beni e servizi (e importare beni), senza applicazione dell’IVA, fino a concorrenza del plafond maturato. Il plafond è determinato dall’ammontare delle operazioni che concorrono alla formazione dello stesso (cessioni all’esportazione e operazioni assimilate, servizi internazionali, cessioni intracomunitarie, ecc.) registrate nell’anno solare (plafond fisso) o nei 12 mesi precedenti (plafond mobile).

Come scegliere tramite comportamento concludente
Come confermato dalla risoluzione n. 77/2002 dell’Agenzia delle Entrate, è il soggetto passivo che può scegliere di anno in anno tramite comportamento concludente (Cass. 13 aprile 2021 n. 9615), l’adozione del plafond fisso rispetto al mobile. È bene precisare che solo se l’attività è operativa da almeno 12 mesi, è possibile optare per il plafond mobile (circ. Agenzia delle Dogane n. 8/2003, § 4, e Cass. 15 febbraio 2013 n. 3788). È possibile invece utilizzare il plafond fisso a partire dal 1° gennaio dell’anno solare successivo a quello di inizio dell’attività.

Al fine di acquistare beni in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72, gli esportatori abituali devono redigere la dichiarazione d’intento, rifacendosi al modello approvato dall’Agenzia delle Entrate (provv. n. 96911/2020), la quale va poi trasmessa telematicamente all’Agenzia delle Entrate che rilascia apposita ricevuta con relativo protocollo.

Ecco come arrivare pronti all’1 Gennaio 2025
È per questo motivo, come sopra anticipato, che i soggetti che hanno già soddisfatto, o presumono di farlo, le condizioni per essere considerati esportatori abituali, devono preparare le lettere d’intendo, in modo da acquistare in esenzione dall’Iva dall’1 Gennaio 2025.

La dichiarazione d’intento può essere presentata per una singola operazione oppure per una o più operazioni, sino a concorrenza di uno specifico ammontare del plafond disponibile. La seconda soluzione è sicuramente quella più utilizzata in quanto permette di indicare un valore presunto pari alla quota parte del plafond che si stima venga utilizzato nel corso dell’anno verso uno specifico fornitore. È anche possibile utilizzare una sola dichiarazione d’intento per più importazioni, fino a concorrenza di un determinato ammontare da utilizzare nell’anno di riferimento.

Come affermato dall’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 27195/2017, è possibile anche emettere dichiarazioni d’intento nei confronti di più fornitori anche se l’ammontare complessivo supera il plafond disponibile. Così facendo però, l’esportatore deve verificare che nel corso dell’anno le fatture emesse utilizzando il plafond non superino l’ammontare dello stesso (“splafonamento”).

Da Il Commercialista Telematico

ARTICOLI COLLEGATI

Deducibilità del trattamento di fine mandato

Il trattamento di fine mandato (TFM), emolumento corrisposto agli amministratori alla fine del loro incarico, ha generato ampio contenzioso sul piano fiscale, in particolare per quanto concerne il corretto periodo di imputazione e la sua deducibilità ai fini delle imposte sul reddito. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha progressivamente delineato i confini entro cui il TFM può ritenersi deducibile. L’art. 105, c. 4 del Tuir estende i criteri di deducibilità dell’indennità di fine rapporto previsti per i lavoratori dipendenti alle indennità per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. In linea generale gli accantonamenti relativi al TFM sono deducibili a condizione che l’obbligazione risulti da atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto. È consentita dunque la deduzione per competenza a patto che la società abbia assunto un impegno giuridicamente vincolante prima dell’inizio del mandato dell’amministratore. In assenza di tale condizione, il TFM non si qualifica come indeducibile ma potrà essere dedotto per cassa al momento dell’effettivo pagamento e dopo aver ripreso a tassazione nei vari anni gli accantonamenti operati (con conseguente stanziamento delle imposte anticipate). La Corte di Cassazione ha ribadito in più occasioni tale assunto; ricordiamo, tra le altre Cass. civ., ordinanza n. 13566/2022 e sentenze nn. 31473/2019 e 16787/2016. È opportuno ricordare altresì che nell’atto avente data certa occorre individuare anche l’importo. Infatti, le ordinanze nn. 4487/2025, 3299/2025, 19445/2023, 25435/2022, 19571/2022, 3994/2021, 24848/2020, 17367/2020, 16826/2020 e 26431/2018 e le sentenze nn. 15966/2024 e 1153/2021 hanno specificato che l’atto, oltre ad avere data certa antecedente all’inizio del rapporto, deve specificare anche l’importo accantonato. Qualora il requisito della data certa anteriore non sia rispettato, come anticipato, in luogo del principio di competenza, la Cassazione ammette la deduzione dei compensi spettanti agli amministratori nell’esercizio in cui viene effettivamente corrisposto. In tal senso, si registra l’orientamento consolidato sia dell’Amministrazione Finanziaria (Risoluzioni nn. 211/E/2008 e 124/E/2017), sia della giurisprudenza della stessa Corte (cfr., tra le altre, Cass. nn. 5763/2021, 4400/2020 e 17367/2020). Inoltre, l’accontamento del TFM, non subendo i limiti di spettanza (e quindi di deducibilità) nelle forme e nei limiti previsti per i lavoratori dipendenti (così la Cassazione con le ordinanze: 4854/2025, 3388/2025, 3384/2025, 3382/2025, 3300/2025, 3299/2025, 3298/2025, 15966/2024, 25435/2022, 28827/2021 e 24848/2020) deve essere determinato secondo criteri di ragionevolezza, coerenti con la durata dell’incarico nonché congrui rispetto alla realtà economica dell’impresa (Cass., ordinanza n. 28827/2021). Infine, si sottolinea che i sopra citati principi, qualora non ottemperati, non possono essere “raggirati” mediante le dimissioni e la nuova nomina dell’organo amministrativo al solo fine di vedersi attribuito il TFM deducibile per competenza. Difatti, in base alla massima dell’ordinanza n. 19445/2023, l’interruzione del rapporto con la società risulta meramente formale e “non risulta possibile far dimettere e rinominare successivamente gli amministratori in ragione di una continuità sostanziale”. La corretta formalizzazione dell’impegno rappresenta, quindi, un presupposto imprescindibile per la legittima deduzione fiscale, sia secondo l’Agenzia delle Entrate sia secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione. Una gestione documentale tempestiva e trasparente si conferma, di fatto, l’unico strumento per evitare contestazioni e sanzioni in fase di accertamento. da Sistema Ratio

Leggi Tutto »