Scade a fine giugno 2025 il termine per fruire delle ferie maturate nel 2023

Entro il prossimo 30 giugno 2025 i datori di lavoro dovranno assicurarsi che tutti i dipendenti abbiano fruito delle ferie maturate nell’anno 2023. Trascorso tale termine scatterà l’obbligo di versamento all’INPS della contribuzione maturata sui compensi per ferie non godute, seppur non ancora corrisposti.

Il diritto alle ferie trova fondamento nell’art. 2109 c.c., che prevede, al secondo comma, che il dipendente, dopo un anno di servizio ininterrotto, abbia diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite, possibilmente in modo continuativo, nel periodo stabilito dal datore di lavoro, tenendo conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. Le modalità di fruizione e la durata minima del periodo feriale sono poi disciplinate dall’art. 10 del DLgs. 66/2003, che stabilisce in almeno 4 settimane il minimo annuale, di cui due devono essere godute entro l’anno di maturazione e le restanti due entro i 18 mesi successivi. Per le ferie maturate nel 2023, dunque, il termine ultimo per il godimento scade il 30 giugno 2025.

La scadenza assume rilievo non soltanto per assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori, ma anche per prevenire eventuali conseguenze sul piano contributivo e sanzionatorio. A partire dal mese successivo alla scadenza, o al diverso termine previsto dalla contrattazione collettiva, i datori di lavoro saranno infatti tenuti a versare all’INPS i contributi previdenziali calcolati anche sulla quota retributiva delle ferie non godute entro il termine previsto, indipendentemente dalla loro effettiva erogazione. In concreto, l’imponibile previdenziale dovrà comprendere anche l’importo corrispondente al valore delle ferie residue, da assoggettare a contribuzione (circ. INPS n. 15/2002 e circ. INPS n. 162/2010).

Nel momento in cui le ferie verranno effettivamente fruite, i datori di lavoro potranno operare un conguaglio in diminuzione attraverso il flusso UniEmens, compilando l’apposito campo VarRetributive, con l’indicazione del periodo in cui era stata anticipata la contribuzione, la causale “FERIE”, l’importo da portare in diminuzione (ImponibileVarRetr) e il relativo contributo da recuperare (“ContributoVarRetr”).

Diritto costituzionalmente garantito
È importante sottolineare che il diritto alle ferie è garantito dall’art. 36 della Costituzione, che ne sancisce l’irrinunciabilità.

Le ferie sono considerate funzionali al recupero delle energie psicofisiche investite nell’attività lavorativa, nonché alla realizzazione della vita personale e familiare del dipendente. Proprio per questa ragione, il periodo minimo legale non può essere sostituito da un’indennità economica, salva l’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in corso d’anno; in particolare, la monetizzazione è sempre ammissibile in caso di contratti a tempo determinato di durata inferiore ai 12 mesi (circ. Min. Lavoro n. 8/2005).

Un’ulteriore eccezione al divieto di liquidazione delle ferie è riferibile al periodo aggiuntivo rispetto al minimo legale di 4 settimane, eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva.
Il decorso del termine di 18 mesi per la fruizione delle ferie può peraltro essere sospeso in presenza di eventi che interrompano temporaneamente l’attività lavorativa. È il caso, ad esempio, delle assenze per maternità, malattia, infortunio o per l’intervento della cassa integrazione ordinaria o straordinaria. In tali situazioni, il termine di 18 mesi si sospende per la durata dell’impedimento e riprende a decorrere dal momento in cui il lavoratore rientra in servizio.

È opportuno evidenziare che, in caso di mancata fruizione delle ferie entro i termini di legge, o nel più ampio termine previsto dalla contrattazione collettiva, qualora tale mancato godimento non sia riferibile alla volontà del lavoratore, il conseguente danno psicofisico può essere oggetto di specifico risarcimento, con onere in capo al dipendente di dimostrare l’entità del pregiudizio subito (nota Min. Lavoro n. 5221/2006).

La normativa prevede inoltre delle sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 18-bis del DLgs. 66/2003. Gli importi, maggiorati del 20% in virtù di quanto disposto dalla legge di bilancio 2019, variano in base alla gravità della violazione e al numero di lavoratori coinvolti: si va da un minimo di 120 ad un massimo di 720 euro se la violazione riguarda un solo anno e fino a 5 lavoratori, da 480 a 1.800 euro se coinvolge più di 5 lavoratori o interessa un periodo di almeno 2 anni, da 960 a 5.400 euro nel caso di irregolarità accertate per più di 10 lavoratori o verificatesi in almeno 4 anni.

ARTICOLI COLLEGATI

Ecobonus salvo anche senza ENEA

Si consolida l’orientamento della Corte di Cassazione sulle conseguenze connesse alla mancata trasmissione all’ENEA della prescritta comunicazione a conclusione dei lavori di riqualificazione energetica. La

Leggi Tutto »